A tre giorni dall’evento “Fuggire, Migrare, Sopravvivere”, che si terrà il 16 gennaio a Roma, abbiamo incontrato il regista Paolo Martino per raccogliere la testimonianza di chi, da anni, lavora in prima linea sull’argomento.
Iniziamo dal tuo penultimo lavoro, “Riammessi”. Il cortometraggio è girato a Patrasso, in una Gecia martoriata dalla crisi economica e dove si osserva l’emergere di preoccupanti rigurgiti di estrema destra, come Alba Dorata…
Patrasso l’ho descritta più volte come una città caotica, il ritratto della Grecia di questi ultimi anni. La questione dei migranti si inserisce in un contesto già di per se drammatico. I greci stessi, da alcuni anni, hanno sostituito i migranti nella code fuori dalle sedi della Caritas e delle altre organizzazioni di carità.
Patrasso è l’anello di un girone infernale. Patrasso come Igoumenitsa. E’ chiaro che quando peggiorano le condizioni di vita della popolazione locale, peggiorano conseguentemente quelle di tutti i migranti. La Grecia è un paese smarrito.
E questo porta un cambiamento nell’atteggiamento della parte della popolazione locale…
Chiaramente questo è un dato che non può essere escluso dalla nostra analisi e del resto l’insofferenza degli abitanti si traduce in un crescente sostegno alle forze di estrema destra. Fonti non ufficiali raccolte in loco mi hanno rivelato che circa il 60-70% dei poliziotti greci appartiene alle fila di Alba Dorata. Non è detto che nel corso della loro funzione pubblica lascino trasparire la loro fede politica, ma è un dato di cui tenere certamente conto.
Tuttavia, a volte, nella comune sofferenza avvengono atti di straordinaria solidarietà, con greci che riempiono le loro macchine di cibo e vestititi e li distribuiscono gratuitamente. L’umanità a volte ha il meglio su tutto. Poi però incontri i migranti e vedi sulla loro pelle le cicatrici della violenza provocate dai raid dei vari gruppi fascisti o dalla polizia.
Io stesso, durante le visite effettuate alle centrali di polizia, ho potuto vedere alcune scene non certamente edificanti per la Grecia così come per tutta l’Europa.
Quando si arriva in Italia, poi, non è che il clima sia migliore.
L’Italia attraversa a sua volta un trend economico negativo e forti tensioni sociali. E’ un paese che dal punto di vista dei diritti umani ha una lunga storia in merito, ma negli ultimi tempi si sono create aree oscure, buchi neri, come ad esempio i porti e le carceri.
Nel primo caso l’autorità portuale non concede nulla alla società civile. Quello che accade all’interno dei porti rimane lì e noi sappiamo quali siano le gravi violazioni che i ragazzi intervistati nei cortometraggi ci hanno raccontato. Diritti violati dunque, ma anche sogni infranti perché l’Italia per moltissimi ha rappresentato una chimera. Oggi comunque i migranti scappano da qui perché non trovano lavoro.
Sfatiamo dunque un mito, quello dell’invasione, incentivato da certa stampa sensazionalista e ben sfruttato dalle forze xenofobe e razziste.
Ti faccio un esempio a mio parere lampante: i profughi siriani. Nessuno dei profughi siriani che scappa dalla guerra pensa all’Italia come sua destinazione finale: nessuno. L’Italia è solo un passaggio quasi obbligato verso i paesi scandinavi del Nord Europa, che sono il vero obiettivo di gran parte dei migranti.
I siriani che si imbarcano verso Lampedusa o che passano dal mare Adriatico non hanno alcuna intenzione di restare all’interno dei nostri confini. Conoscono bene il regolamento di Dublino 2 e quindi provano in ogni modo a non farsi prendere le impronte digitali.
I tuoi lavori hanno il filo conduttore del “viaggio”. Quante rotte esistono per migrare verso il Vecchio continente?
Quando scrissi “Mussa Khan”, partii proprio con l’idea di ripercorre una rotta migratoria. Diverse anime, differenti origini, motivazioni opposte: tutto ciò si rimescola in un viaggio che per me è partito dal remoto Afghanistan.
Viaggi complicatissimi, ma ben motivati, passando attraverso Iran e Turchia. Un viaggio che chiaramente non possono affrontare tutti. Si parte dall’Iraq, dalla Palestina, dal Caucaso, dall’Africa subsahariana come dall’Africa del Nord e si punta verso la Turchia che, in base ad una legislazione in materia di visti piuttosto favorevole per le popolazioni arabe, si configura come un vero e proprio hub regionale per le migrazioni. Istanbul è composta per la maggior parte da migranti in transito.
Viaggi nei quali è a volte impossibile farcela da soli…
Su questo aspetto ho lavorato molto nel mio ultimo lavoro, “Terra di Transito”. Un lavoro che si apre proprio con un’intervista ad un trafficante curdo che organizza viaggi da Bari in macchina verso il Nord Europa.
Viaggiare in macchina permette infatti di essere meno rintracciabili rispetto al treno e molti si affidano a questi soggetti per tentare di raggiungere il paese finale di destinazione. In alcuni casi potremmo addirittura non chiamarli trafficanti, ma usare, come del resto moltissimi migranti fanno, il termine francese passeur traducibile con il nostro “facilitatore”.
Il passeur è per molti l’unica speranza di giungere alla meta, tanto è vero che in molti casi i migranti stessi coprono, proteggono, queste figure. Bisogna inoltre fare una differenza a seconda delle rotte che si attraversano.
Il passeur curdo riceve i suoi soldi a destinazione raggiunta, mentre quelli cui si affidano gli africani per passare la fascia del Sahara ottengono il denaro prima e spesso imbrogliano i migranti. Per intraprendere il viaggio verso l’Europa si parte da una sofferenza incredibile, ma anche da una volontà di cambiare di evolvere verso il meglio.
Detta così però sembra quasi che si stia trovando una giustificazione al loro operato.
Voglio essere chiaro: lo sfruttamento di una condizione di debolezza ed inferiorità è da condannare in ogni sua forma, tuttavia la questione è molto più complessa di quanto non la facciano apparire i mass media. Il “trafficante” è la conseguenza inevitabile di un quadro di riferimento europeo del tutto insufficiente.
Non voglio fornire un giudizio morale, solo esporre il mio punto di vista attraverso un esempio. Uno dei tanti migranti intervistati è rimasto bloccato un anno a Igoumenitsa. Per oltre 365 giorni quest’uomo ha provato ad attraversare il lembo di mare che separa Italia e Grecia in ogni modo: è dimagrito 15-20 chili. Poi, affidandosi ad un passeur e con 2.500 euro in 72 ore è riuscito a passare ed oggi ha potuto fare domanda di asilo per motivazioni politiche.
Paradossalmente, per vedere riconosciuto il proprio diritto all’asilo, quest’uomo è dovuto arrivare sino a qui e l’unico modo è stato affidarsi una un trafficante. Gli stati europei affermano di garantire il diritto d’asilo, però sembrano non tenere conto di tutte le difficoltà che quel richiedente asilo deve affrontare per arrivare a presentare la domanda. Questa, a mio parere, è ipocrisia.
Ed una volta arrivate, queste persone trovano finalmente in Europa ciò che cercavano?
Come detto, l’Italia è ormai una terra di transito, di passaggio ed ormai è una delusione continua per tutti. Il Nord Europa però riesce effettivamente a garantire i diritti necessari a queste persone affinché la loro integrità si preservata ed affinché possano ottenere il giusto riconoscimento.
Direi di sì, in Scandinavia la loro vita migliora sensibilmente e pochissimi pensano di tornare indietro. Tuttavia, ogni caso è diverso dall’altro. Pensiamo alla Siria dove moltissimi hanno deciso di costruire campi profughi nelle immediate vicinanze o proprio a ridosso dello zero point del confine con la Turchia, rimanendo da questa parte del reticolato.
Molti preferiscono morire nella propria terra piuttosto che scappare, ma ripeto ogni storia è a sé, indipendente dall’altra. Tra i ragazzi intervistati ho ritrovato non solo sofferenza, ma anche la volontà di conoscere il diverso, l’altro, un senso di avventura e di scoperta. La sofferenza, in questi casi, la si dà quasi per scontata purtroppo.
January 13, 2014di: Marco Di DonatoAfghanistan,Iran,Siria,Turchia,Articoli Correlati:
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