Al Forum Sociale Mondiale di Tunisi anche un’ampia delegazione della società civile irachena. Che ha portato la voce dell'”altro Iraq”: quello che continua a scomparire dalle cronache, ma che ha più diritto di essere ascoltato. Due video-interviste.
Dallo scoppio dell’ultima emergenza nell’estate del 2014, l’Iraq è tornato ad occupare le pagine dei giornali occidentali, dopo essere caduto in un dimenticatorio lungo oltre 10 anni. Ma la rappresentazione mediatica che viene offerta, complice l’alta attenzione posta attualmente sul fenomeno di Daesh, è lontana da una realtà fatta di donne e uomini che ogni giorno, da anni, combattono con gli strumenti dell’educazione, della cultura, della nonviolenza e del dialogo per tenere insieme quel mosaico di civiltà che è sempre stato il paese.
Una polarizzazione, quella che solitamente ci viene resistutita, nella quale ciò che abbiamo voluto definire “l’altro Iraq” scompare. Scompare la società civile che esiste e resiste, e che ha più diritto di essere ascoltata.
Quell’Iraq abbiamo provato a raccontarlo e farlo parlare in un libro (“La crisi irachena. Cause ed effetti di una storia che non insegna“, edizioni dell’Asino, 2014), realizzato insieme ai nostri amici e colleghi di Un ponte per…, per provare a contestualizzare una crisi che andava ben oltre l’emergenza.
Che affondava le sue radici lontano nel tempo, risalendo fino al 2003. L’anno in cui tanti nel mondo dissero ‘no’ alla guerra senza poterla però fermare; l’anno dell’invasione statunitense del paese, che avrebbe gettato le basi per le violenze che oggi insanguinano il paese, in nome di un settarismo forzato – ed esportato – che la società civile continua a rifiutare.
Quell’Iraq abbiamo continuato a raccontarlo attraverso i diari che ogni settimana, da Dohuk, pubblichiamo. E che spesso sono uno spazio messo a disposizione dei tanti attivisti impegnati sul campo nella ricostruzione di equilibri fragili, ancora una volta messi alla prova da guerre ed emergenze umanitarie.
E quell’Iraq lo abbiamo seguito anche a Tunisi, accompagnando la delegazione dell’Iraqi Social Forum, arrivata da ogni angolo del paese per prendere parte ai lavori del Forum Sociale Mondiale 2015 per portare la propria voce, il proprio punto di vista sul terrorismo, sulle risposte della società civile, raccontando le tante campagne e iniziative che da anni vengono portate avanti senza fare notizia.
Quelle per la salvaguardia del patrimonio ambientale; contro la violenza sulle donne; per la libertà di espressione e di stampa, per i diritti dei lavoratori, contro la privatizzazione della guerra.
Tra le tante voci ascoltate, ne abbiamo volute raccogliere alcune.
La prima è di Nada Omran Hussein, giornalista di Baghdad e membro dell’Iraqi Women Journalist Forum, che racconta come la lotta per la libertà di espressione e quella per la parità di genere, in Iraq, siano due facce della stessa medaglia.
La seconda è quella di Salar Ahmed, dell’associazione curdo-irachena Al Mesalla, che da anni lavora sui temi della nonviolenza e della cultura gestendo piccoli centri giovanili che sono un faro di speranza per il futuro del paese. E’ lui a ricordare come quello ‘scontro di civiltà’ tanto caro ai nostri media sia lontano dalla realtà.
Perché l’Iraq è un mosaico di culture che vogliono continuare a convivere, unite.
April 01, 2015di: Cecilia Dalla Negra da Tunisi Iraq,Tunisia,Video: Articoli Correlati:
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