Per molti militanti jihadisti nel mondo è il leader a lungo atteso capace di rendere realtà il sogno di un Califfato islamico. Ma chi è Abu Bakr al-Baghdadi e come nasce la sua organizzazione? Riproponiamo l’analisi di Ludovico Carlino per il nostro libro “La crisi irachena. Cause ed effetti di una storia che non insegna”.
Quando Abu Bakr al-Baghdadi ha assunto la leadership dello Stato Islamico dell’Iraq (Isi), a maggio del 2010, dopo la morte del predecessore Abu Omar al-Baghdadi nell’aprile dello stesso anno, si credeva che “l’età d’oro” del gruppo di miliziani fosse ormai superata.
Dopo l’offensiva militare statunitense del 2007 e l’emergere dei cosiddetti “Consigli del risveglio” – milizie composte da tribù sunnite irachene opposte all’Isi – il gruppo aveva già iniziato a vedere il declino delle proprie fortune, al punto da non essere più considerato una minaccia per il governo iracheno.
Quattro anni dopo questo assunto è stato completamente ribaltato, e oggi al-Baghdadi è a capo di migliaia di miliziani che combattono e controllano una vasta area tra Siria e Iraq, come mai nessuna entità jihadista era riuscita a fare.
Per quanto ci siano pochi dubbi sul fatto che il conflitto siriano e il ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq nel 2011 abbiano facilitato il ritorno dello Stato Islamico, al-Baghdadi è considerato il principale artefice di questo successo.
Sebbene la sua decisione di spostare la bandiera del jihad dall’Iraq alla Siria abbia innescato la rottura pubblica tra il suo gruppo e la leadership storica di al-Qaeda, la mossa non ne ha sminuito l’ascesa.
Chi è Abu Bakr al-Baghdadi?
Secondo l’anti-terrorismo iracheno, al-Baghdadi ha sempre mantenuto un alto livello di riservatezza, limitandosi a contatti con pochi membri della sua organizzazione e coprendosi il volto durante gli incontri del gruppo. Probabilmente per questo motivo le informazioni su di lui sono rimaste poche e misteriose fino al luglio del 2013, quando un utente anonimo ha postato sul forum online jihadista Ansar al-Mujahiddin una sua dettagliata biografia.
Che comincia con il nome completo dello sheikh, Abu Dua Ibrahim bin Awad bin Ibrahim al-Badri al-Radawi al-Husseini al-Samarra, e con il suo nome di battaglia, Abu Bakr al-Baghdadi al-Quraishi al-Husseini. Come suggerisce la nisba (aggettivo che nei nomi arabi indica l’affiliazione tribale o il luogo d’origine), Abu Bakr è nato a Samarra nel 1971, è un discendente della tribù degli al-Asharaf al-Badriyin, e viene affermata anche una linea di ascendenza diretta con la tribù del Profeta Muhammad, i Quraishi.
Sarebbe sposato e avrebbe una solida istruzione in studi religiosi. Il biografo afferma che sia stato un insegnante molto conosciuto e un predicatore noto, laureato all’Università Islamica di Baghdad. Avrebbe anche acquisito una certa preminenza come teologo a Diyala e a Samarra, dove sarebbe stato attivo nella moschea Imam Ahmed ibn Hanbal.
La biografia mostra anche la sua esperienza militare, fornendo dettagli sulla sua carriera nei mujahiddin.
Probabilmente negli anni successivi all’invasione statunitense dell’Iraq avrebbe creato il proprio gruppo, conosciuto come Jama‘at Jeish Ahl al-Sunnah wa al-Jama‘ah, attivo nelle province di Diyala, Samarra e Baghdad. In seguito Abu Bakr sarebbe stato nominato capo del Comitato per la Sharia della Jama‘at, e il gruppo si sarebbe unito alla Majlis Shura al-Mujahiddin, una delle formazioni insorgenti che nel 2006 diedero vita all’Isi.
L’ascesa di Abu Bakr nei suoi ranghi fu consolidata nel corso dello stesso anno, quando venne nominato supervisore generale dei Comitati per la Sharia delle province irachene, una posizione che lo portò a lavorare a stretto contatto con l’ex leader di Isi, Abu Omar al-Baghdadi.
La sua esperienza nei mujahiddin, le solide relazioni stabilite con importanti tribù irachene e la sua preparazione religiosa lo resero il naturale successore di Abu Omar.
Il ritorno dell’Isi e il ruolo di al-Baghdadi nel conflitto siriano
Sotto la guida di al-Baghdadi, l’Isi è riuscito gradualmente a espandere la propria campagna militare sia in Iraq che in Siria a partire dalla fine del 2011. In Iraq il gruppo ha rapidamente cambiato le proprie tattiche, spostandosi dagli attacchi sporadici dell’era di Abu Omar ad assalti complessi e operazioni su larga scala che avevano come bersaglio prigioni, postazioni di sicurezza, edifici militari e governativi.
Un cambiamento in linea con le priorità strategiche delineate da al-Baghdadi a luglio del 2012, quando annunciò l’inizio di una nuova fase nella lotta del gruppo con un piano chiamato “demolire i muri”, orientato a ricostituire la forza combattente dell’Isi liberandone i membri rinchiusi nelle prigioni irachene.
Quell’operazione, durata un anno, e che le forze di sicurezza irachene non sono state capaci di contenere, ha consentito all’Isi di riorganizzare i propri ranghi ed espandere la sua presenza nell’area. Fatto ancora più importante, la campagna ha garantito all’Isi un afflusso cruciale di nuovi combattenti.
Sono nove le evasioni che è riuscito a portare a termine, liberando dalle prigioni di Abu Ghraib e Taji cinquecento detenuti solo nell’ultima operazione effettuata.
Mentre il gruppo consolidava il suo potere in Iraq, al-Baghdadi gettava le basi per la propria grandiosa visione di un Califfato esteso anche alla Siria, grazie all’eliminazione del confine stabilito con l’accordo Sykes-Picot nel 1916.
Nell’estate del 2011 ha inviato in Siria uno dei suoi subordinati, Abu Muhammad al-Jawlani, con il compito di stabilire lì un’organizzazione jihadista composta da non-iracheni. Il gruppo, chiamato Jabhat al-Nusra, è diventato noto a gennaio del 2012 ed è rapidamente balzato alle cronache fino a diventare la punta di diamante dell’opposizione armata siriana contro l’esercito del presidente Asad.
Secondo fonti islamiste a quel tempo al-Baghdadi era ancora comandante generale di Jabhat al-Nusra, prima che iniziassero a emergere attriti fra lui e al-Jawlani su questioni relative alle priorità strategiche.
Quando, nel 2013, al-Baghdadi annuncia che l’Isi si è unito a Jabhat al-Nusra in una nuova entità, lo Stato Islamico di Iraq e Siria (Isis o Isil, oggi solo Is, ndr), al-Jawlani rifiuta questa fusione, dichiarando di riconoscere il sostegno finanziario e logistico di al-Baghdadi al suo gruppo, ma rivendicandone l’autonomia.
Le relazioni tra le due formazioni si sono rapidamente deteriorate dopo l’ingresso dell’Isi nel conflitto siriano, fatto che ha spinto l’emiro di al-Qaeda, Ayaman al-Zawahiri, a ordinare ad al-Baghdadi di sciogliere il suo gruppo e limitare le proprie operazioni all’Iraq. Un ordine disatteso da quest’ultimo, che ha rivendicato il diritto di operare tanto in Siria quanto in Iraq.
Nel contesto siriano, il disaccordo si è materializzato in una serie di infruttuosi tentativi di mediare la disputa e in mesi di combattimenti intestini che hanno lasciato sul campo circa 4mila miliziani morti. A livello ideologico, il disaccordo ha compromesso le relazioni tra al-Zawahiri e al-Baghdadi, al punto che a febbraio di quest’anno il leader di al-Qaeda ha disconosciuto le azioni dell’Is dichiarando che “non è parte dell’organizzazione del jihad qaedista”.
La vittoria di al-Baghdadi
Sebbene la decisione di Abu Bakr abbia gettato i semi di una “guerra civile jihadista” in Siria e abbia spinto preminenti ideologi ad accusarlo apertamente di aver diviso la Ummah, la scelta strategica di combattere su due fronti si è rivelata decisiva per le attuali fortune dell’Is.
Negli ultimi due anni la Siria si è rivelata un inestimabile corridoio strategico per spostare liberamente armi e miliziani attraverso l’ormai estinto confine siro-iracheno, e un solido santuario da dove programmare e condurre attacchi in entrambi i paesi. La dinamica ha di fatto consentito all’Is di raggiungere alcuni dei suoi obiettivi strategici, e oggi il suo impero si estende su vaste aree della Siria orientale e dell’Iraq occidentale.
Secondo alcune fonti sarebbero almeno 20mila gli effettivi su cui l’organizzazione può contare, di cui oltre la metà cittadini non arabi: tra i 2 e i 3mila proverrebbero dall’Occidente (Belgio, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, e circa quaranta dall’Italia).
Per molti simpatizzanti e militanti nel mondo, al-Baghdadi è l’artefice dei successi jihadisti in Siria e in Iraq, il leader a lungo atteso capace di rendere realtà il sogno di un Califfato islamico nel cuore del Medio Oriente.
Nonostante l’annuncio della nuova coalizione a guida statunitense stimi in tre anni il tempo necessario a sconfiggere l’Is, formulare ipotesi credibili sembra alquanto improbabile. Certamente quanto più si rafforzerà l’organizzazione, tanto più sarà complesso districare la crisi siriana, di cui l’Iraq è oggi un fattore chiave.
*Questo articolo è stato scritto nel settembre del 2014, ed è stato pubblicato per la prima volta nel libro a cura di Osservatorio Iraq “La crisi irachena. Cause ed effetti di una storia che non insegna” (Edizioni dell’Asino, 2014). Per saperne di più e acquistarlo, clicca qui.
February 01, 2015di: Ludovico Carlino Iraq,Siria,Articoli Correlati:
- Siria. Il regime è il responsabile della crisi di Yarmouk. E nessuno ne parla
- La sinistra e la Siria
- Iraq. Sentenze sul passato, tragedie del presente
- Iraq. Libri, non bombe
- Speciale Tunisi/ La voce dell’altro Iraq
- Iraq. Il saccheggio della culla dell’umanità
- Iraq. Il sistema politico post-2003 e l’origine del caos
- Diario dall’altro Iraq/12 “Un futuro diverso, un futuro migliore”
- Il ruolo dei curdi nel caos iracheno
- Diario dall’altro Iraq/11. Punti di vista
- Iraq. Mosul, “l’inferno delle donne”
- Siria. Come il regime di Asad ha cancellato il suo popolo
- Vivere sotto Daesh: testimonianze di resistenza da Iraq e Siria
- Diario dall’altro Iraq/14. Sotto il sole iracheno
- Ramadi, un’altra “facile” conquista nel caos iracheno
- Iraq. L’assenza dello Stato e il potere delle tribù
- Iraq. Sentenze sul passato, tragedie del presente