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Turchia. L’unità dell’AKP a rischio?

In Turchia i dirigenti del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) si confrontano direttamente su argomenti come la vendita di alcolici o la vita sessuale dei giovani. La condanna della condivisione di appartamenti tra studenti dei due sessi da parte del primo ministro è servita da pretesto per un dibattito che lascia presagire, al di là delle rivalità politiche, un conflitto interno sulla questione religiosa. 

 

di Samim Akgönül* 

 

Sin dalla fondazione della Repubblica turca, nel 1923, la questione religiosa è stata al centro del dibattito politico. I suoi fondatori venivano da una categoria molto specifica dell’élite ottomana, nazionalista ma anche secolarizzata, che vedeva nel positivismo e nell’emulazione dell’Occidente la sola via sana per indirizzare la società. 

Così, sin dall’inizio, la corrente religiosa musulmana sunnita è stata messa sotto controllo da parte dello Stato attraverso un’organizzazione: la famosa Direzione per gli Affari religiosi (DIB, Diyanet İşleri Başkanlığı), incaricata di centralizzare le istituzioni religiose, di controllarle e di nazionalizzarle.

Nel corso dei decenni, mentre l’Islam popolare veniva disprezzato e represso, quello ‘ufficiale’ restava uno dei principali criteri di definizione dell’appartenenza nazionale. Secondo la visione dell’élite burocratica e militare, insomma, un turco doveva essere musulmano senza mostrare apertamente di esserlo. 

Con il passare degli anni la DIB  è divenuta un mostro mastodontico, con un budget e una quantità di personale pari a quello di più ministeri messi insieme. 

Questo laicismo autoritario ed elitario ha suscitato come un senso di abbandono tra i turchi delle campagne, i cui usi, costumi e abitudini culturali sono stati negli anni ridicolizzati e considerati arretrati. A partire dagli anni Sessanta del Novecento, poi, l’Islam popolare si è urbanizzato. Il continuo esodo dalle campagne ha creato a poco a poco una nuova, piccola classe sociale conservatrice e musulmana nelle periferie delle grandi città, con tutta una cultura urbana ancora oggi mal vista dalle élite. 

La sua comparsa negli anni Settanta coincide con l’affermarsi dell’Islam politico, che si è progressivamente imposto malgrado le resistenze dei militari e dei burocrati, che si consideravano garanti del regime. Così, ad esempio, il movimento politico fondato sui valori dell’Islam Millî Görüş (“Visione nazionale”) è stato bandito dalla rappresentanza politica nazionale. 

Negli anni Duemila poi si è operata una spaccatura: le giovani generazioni di islamisti hanno creato una scissione nel partito, creando quello per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP, Adalet ve Kalkınma Partisi), facendo leva su questo sentimento di abbandono e di frustrazione degli strati popolari della popolazione, ormai profondamente urbanizzati. E sono arrivati al potere ponendo le questioni islamiche nel più ampio quadro della libertà religiosa e dei valori europei. 

 

L’alcool, il velo e la sessualità

Dopo le elezioni del 2011, nelle quali l’AKP ha confermato il proprio potere, ci si è trovati di fronte ad una nuova spaccatura.

Il tema del diritti umani ha progressivamente lasciato spazio ad una visione moralizzatrice, che tenta apertamente di plasmare la società attraverso i valori islamici e – bisogna dirlo – maschilisti.

E’ in seguito a questa data infatti che le polemiche sul consumo di alcolici, sulla legittimità del velo nelle scuole e negli uffici pubblici, così come la questione dell’adulterio, dell’aborto, del numero di figli più ‘conveniente’ per ogni donna, e infine quella relativa ai rapporti sessuali prima del matrimonio, occupano quotidianamente lo spazio del dibattito pubblico. 

L’ultimo dibattito di questo tipo è stato lanciato il 6 novembre scorso dal primo ministro Recep Tayyip Erdoğan. L’oggetto? Gli studenti universitari (dunque maggiorenni) che condividono appartamenti nelle città universitarie.

E’ accaduto all’indomani di una giornata storica, quella in cui le deputate dell’AKP hanno potuto entrare nell’emiciclo dell’Assemblea nazionale coperte dal proprio velo. In quello stesso emiciclo che, soltanto nel 1999, aveva messo alla porta la prima deputata velata, Merve Kacakci, con la forza. I liberali hanno accolto con favore questo avanzamento, sperando che non servisse da pretesto per una nuova polarizzazione tra kemalisti ed islamisti.

Ed è stato giustamente in quel momento che il primo ministro ha scelto di lanciare questa nuova polemica, a partire dal nulla. “Gli studenti vivono, ragazzi e ragazze insieme, in appartamenti privati”, ha dichiarato nel corso di una riunione del gruppo parlamentare del partito.

“Se lì accadono cose complicate non potremmo tapparci le orecchie di fronte agli appelli delle famiglie, questo  è contrario ai nostri valori conservatori e democratici”. In realtà, non si tratta ne’ di democrazia ne’ di conservatorismo, ma piuttosto di una attitudine reazionaria e populista. 

 

Il vice-presidente del partito ha chiesto spiegazioni

Questo attacco contro la convivenza qualificata “illegittima” ha disturbato molti, anche nel fronte dell’AKP, dove si parla ormai di una nuova scissione in vista. Al termine della riunione Bülent Arinç, vice-presidente e portavoce del partito, ha tentato di ridimensionare le intenzioni di Erdogan dichiarando che il primo ministro aveva fatto riferimento soltanto ai luoghi pubblici – che in realtà non sono misti (1).

Due giorni dopo, Erdogan ha smentito, precisando che aveva invece voluto far riferimento agli appartamenti privati. Arinç ha replicato sulla tv pubblica (…) facendo sapere di aspettare una “dichiarazione” del primo ministro (intendendo delle scuse). Che non sono mai arrivate. 

In seguito, dietro le quinte, si è parlato di una divisione all’interno del partito, tanto più che l’attuale presidente della Repubblica, Abdullah Gül, vorrebbe essere riconfermato alle prossime elezioni presidenziali, mentre è Erdogan ad aspirare a quella poltrona.

Questo malinteso apparente tra le tre figure fondatrici dell’AKP lascia presagire un conflitto interno nei mesi a venire.

I liberali, soprattutto quelli di sinistra, si sentono presi in una morsa nella misura in cui non vogliono sostenere l’opposizione principale, il Partito Repubblicano del Popolo (CHP, Cumhuriyet Halk Partisi), kemalista, anch’esso autoritario e centralizzatore, come l’AKP. In realtà le due formazioni politiche principali utilizzano gli stessi metodi coercitivi, ma su argomenti opposti.

E’ ipotizzabile che gli anni a venire saranno ancora teatro di polarizzazioni eccessive tra gli attori politici in campo, che utilizzeranno la questione religiosa, da una parte come dall’altra. In attesa di una “re-laicizzazione” della laicità, e del riconoscimento delle libertà individuali. 

 

(1) Corrente politica comparsa negli anni Sessanta con la figura emblematica di Necmettin Erbakan, morto nel febbraio 2011, primo ministro tra il 1996 e il 1997 con il Partito della Prosperità (RP, Refah Partisi). Il nome di questo “Islam politico” viene da un’opera pubblicata da Erbakan nel 1969. Dopo il 1970, questa corrente è stata rappresentata da diversi partiti politici, tutti messi al bando dalla Giustizia con l’accusa di “proselitismo”. Dopo la messa al bando del Partito della Virtù (Fazilet Partisi) nel 2001, il movimento si è scisso in due correnti. I tradizionalisti hanno proseguito il proprio percorso nel Partito della Felicità (Saadet Partisi) e i “riformatori” hanno fondato il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), al potere dal 2002. 

(2) Bülent Arinç, vice-presidente e portavoce del partito, è una delle tre figure storiche ed emblematiche del partito insieme Recep Tayyip Erdoğan e Abdullah Gül, il presidente della Repubblica. 

 *La traduzione è a cura di Cecilia Dalla Negra. Per la versione originale dell’articolo clicca qui

 (Foto: commons.wikimedia)

 

December 12, 2013di: Samim Akgönül per Orient XXI*Turchia,Articoli Correlati: 

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