Dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 che ha portato alla morte di 366 migranti al largo delle coste di Lampedusa, il governo italiano – con il sostegno dell’Europa – ha dato il via ad un’operazione militare ed umanitaria. Tuttavia, dietro i millantati obiettivi “umanitari” si cela un interesse economico non trascurabile.
Come riportato da Reuters, lo scorso 6 febbraio, la marina italiana ha prestato soccorso a 1.100 migranti che si trovavano nei pressi delle coste siciliane. In un successivo comunicato è stato dichiarato che le imbarcazioni su cui viaggiavano i migranti, dopo essere state avvistate da alcuni elicotteri di pattuglia, sono state recuperate da quattro navi della marina. La nazionalità dei superstiti rimane però ignota. Queste sono le conseguenze dell’operazione Mare Nostrum.
L’operazione militare ed umanitaria, promossa dal governo italiano, rappresenta la risposta concreta all’indignazione internazionale generata dalla catastrofe del 3 ottobre 2013, che è costata la vita a 366 migranti. Attraverso operazioni di soccorso effettuate direttamente in mare, volte a recuperare i migranti che vengono poi trasferiti nel sud Italia, quest’iniziativa mira ad evitare nuovi naufragi nel Mediterraneo. […]
Il costo dell’operazione Mare Nostrum: 10 milioni di euro al mese. Spese folli che esasperano gli abitanti dell’isola, già costretti a sopportare le ristrettezze imposte dalla particolare economia locale. Nell’isola il costo della vita è divenuto insostenibile e le condizioni economiche degli abitanti non fanno che peggiorare:
“Hai visto il prezzo della benzina? 2, 20 euro al litro!” si indigna Totò, un gestore d’albergo, che deve fare il pieno alla stazione di servizio nel vecchio porto. Il costo esagerato del carburante penalizza anche i pescatori, che si vedono costretti a lasciare le imbarcazioni ormeggiate al molo.
La situazione delle infrastrutture non è migliore. Jessica Mannino, parrucchiera, lamenta: “Qui non abbiamo nemmeno l’ospedale, siamo obbligati a pagarci un biglietto aereo per aver accesso alle cure mediche”.
Per non parlare poi dello stato disastroso in cui versano le strade, la linea elettrica, soggetta a frequenti interruzioni e la scuola elementare che cade letteralmente a pezzi: alla fine di gennaio alcune parti dell’ intonaco dei bagni si sono staccate dal muro, ferendo alla testa alcuni alunni.
In questo clima teso, la rabbia dei lampedusani trova sfogo su Facebook, dove si leggono commenti che ironizzano sugli elicotteri, le vedette della marina militare e sui soldati in divisa che fanno ormai parte del paesaggio dell’isola.
“Ci troviamo a vivere in uno stato d’occupazione militare” denuncia Fabrizio Fasulo, membro dell’associazione di difesa dei migranti Askavusa. “Quando non li vedo [gli elicotteri] un po’ mi mancano, tanta è l’abitudine”, ironizza un’altra attivista dell’associazione.
In passato numerosi pescatori avevano supportato le guardie costiere nelle operazioni di soccorso e recupero delle imbarcazioni cariche di migranti che si trovavano in pericolo, al largo delle coste.
Tuttavia, in seguito alle condanne di “favoreggiamento all’immigrazione illegale” che hanno colpito inaspettatamente alcuni di loro, i pescatori sono sempre meno inclini a prestare soccorso. Ma davvero la militarizzazione dell’isola è la soluzione più adatta?
Aziz, gestore di impianti turistici, afferma: “dietro tutto questo ci sono degli interessi economici di più ampia portata. Se noi ci dimostriamo incapaci di gestire la situazione da soli, il governo italiano è legittimato a chiedere il sostegno finanziario dell’Unione Europea! È tutta una questione di denaro, quel denaro che non arriverà mai nelle nostre tasche”.
Appena una settimana dopo il naufragio del 3 ottobre, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione su Eurosur, sistema europeo di sorveglianza delle frontiere. In quest’occasione, la commissaria degli affari esteri dell’UE, Cecilia Malström, ha dichiarato che Eurosur “dovrà contribuire a proteggere le frontiere esterne e a salvaguardare coloro che rischiano quotidianamente la loro vita per oltrepassare i confini della Fortezza Europa”.
Questo sistema, che dispone di una tecnologia all’avanguardia (immagini satellitari, radar..) può contare, per il solo periodo 2014-2020, su un budget di 224 milioni di euro.
La sua messa in pratica sarà garantita da Frontex, l’agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri. Come recita il sito dell’Unione europea: “Frontex assiste gli Stati membri che necessitano di un’assistenza tecnica e operativa rafforzata alle frontiere esterne” e li “sostiene nella formazione del personale di frontiera nazionale”.
Quest’agenzia, soprannominata da alcuni “il braccio armato dell’Europa”, già nel 2010 poteva contare su 22 aerei leggeri, 113 imbarcazioni e 26 elicotteri, più 476 apparecchiature tecniche (radar mobili, camere termiche, sonde per misurare le emissioni di anidride carbonica, misuratori del battito cardiaco, etc) messi a disposizione dal budget comunitario.
Creata ufficialmente nel 2005, Frontex dispone di circa 300 funzionari incaricati di portare a termine il suo mandato. In soli cinque anni il suo finanziamento, approvato dal Parlamento europeo, è cresciuto vertiginosamente: dai 6 milioni di euro del 2006, ai 118 del 2011. Di fronte all’esodo seguito alle “primavere arabe”, l’agenzia aveva stimato necessario un supplemento di budget di 43,9 milioni di euro arrivando così ad un totale di 85 milioni.
L’8 ottobre scorso Cécila Malström aveva affermato di voler organizzare “un’operazione di vasto respiro nel Mediterraneo”, che sotto la sapiente guida di Frontex avrebbe dovuto “evitare il ripetersi di terribili tragedie come quella che il 3 ottobre ha colpito Lampedusa”.
Frontex e Mare Nostrum sono da considerarsi due operazioni simultanee? Secondo la legislazione europea, le questioni relative all’immigrazione proveniente da paesi terzi sono di competenza esclusiva degli Stati membri. Il ruolo di Frontex è dunque semplicemente quello di assicurare la cooperazione tra loro sul controllo delle frontiere esterne.
Tuttavia Fulvio Vassallo Paleologo, specialista di diritto d’asilo presso l’Università di Palermo, si interroga sulla questione: “com’è possibile che l’operazione Mare Nostrum venga patrocinata da Frontex? Si tratta comunque di un’iniziativa europea: il 22 gennaio, ad Augusta in Sicilia, il ministro della Difesa italiano ha incontrato il Premier sloveno in visita al contingente delle forze armate impegnate nella missione Mare Nostrum”.
Fin dalla sua nascita, Frontex è stata al centro di numerose critiche da parte delle ong impegnate nel campo delle migrazioni. Nel marzo 2013 Frontexit, una campagna di sensibilizzazione sostenuta da 21 associazioni e da alcuni studiosi, ha attirato l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani commessi dall’agenzia.
Claire Rodier – giurista presso il Gisti, cofondatrice di Migreurope e autrice di un libro sull’industria dei flussi migratori (Xénophobie Business), sottolinea: “il personale che opera a bordo delle imbarcazioni incaricate di intercettare i migranti, non riceve alcuna formazione sul diritto d’asilo. Ma la condizione di irregolarità del migrante non dovrebbe, secondo la legge, rappresentare un ostacolo per la presentazione della domanda d’asilo!”.
Cecilia Malström continua a presentare Eurosur e Frotex come i migliori strumenti per “salvare delle vite umane”. Quest’obiettivo viene tuttavia puntualmente rimesso in discussione.
Alcuni giorni dopo il naufragio del 3 ottobre, Frontexit ha pubblicato un comunicato duro: “a che cosa serve Frontex? Ma come? Con nove pattuglie della Guardia Costiera, una pattuglia della Guardia di Finanza, le imbarcazioni militari e gli aerei di sorveglianza, non è arrivata alcuna informazione [di quello che stava succedendo] sull’isola?”.
Alcuni giornalisti italiani hanno anche avanzato accuse nei confronti delle imbarcazioni dell’agenzia, colpevoli – secondo loro – di aver negato assistenza a persone in evidente pericolo.
Fatti confermati dal ricercatore dell’Università di Palermo, Paolo Cuttitta, autore del libro Lo spettacolo del confine, Lampedusa tra produzione e messa in scena della frontiera: “in alcuni casi, nonostante i radar localizzino le imbarcazioni, le autorità competenti decidono ugualmente di non intervenire. Questa pratica è molto diffusa anche tra i funzionari maltesi e quelli della Nato, come confermano le testimonianze dei rifugiati libici risalenti al 2011”.
Accuse puntualmente smentite dalle autorità interessate. Dal 2002 però, si contano 3.300 morti solo al largo di Lampedusa. Mentre dal 2009 ad oggi sono 4 mila i migranti che hanno perso la vita nel Mediterraneo.
Lo scorso ottobre Ewa Moncure, funzionaria di Frontex, ha dichiarato al quotidiano Liberation che l’agenzia negli ultimi due anni “ha salvato la vita a 16.000 persone nel Mar Mediterraneo”. Una cifra relativa alle 900 operazioni effettuate tra il 2011 e il 2013, come si rileva dal sito dell’agenzia. Stando a questi dati, Frontex avrebbe dunque permesso di salvare un numero non esiguo di vite umane.
Ma è davvero questo il suo obiettivo principale? In ogni caso, l’espressione “operazioni di salvataggio” suscita l’irritazione di Claire Rodier: “è solo fumo negli occhi! I dati dei salvataggi presentati da Frontex non sono altro che delle mistificazioni semantiche: i numeri sono gli stessi utilizzati per parlare delle intercettazioni! Ora la sorveglianza si chiama «salvataggio»”.
Claire Rodier incalza: “da quando esiste Frontex si è registrato un aumento della mortalità tra i migranti”. Alla fine dei conti il pattugliamento delle coste, bloccando le vie d’accesso all’Europa, ha convogliato i flussi migratori verso percorsi alternativi, pieni di insidie.
Nel 2006 la prima operazione condotta da Frontex nelle Canarie, chiamata Hera, ha provocato una diminuzione del 70% degli sbarchi sulle isole. Il flusso migratorio non si è però arrestato, ma si è spostato verso le isole Baleari e le coste sud-orientali della Spagna, creando una nuova emergenza, alla quale Frontex ha reagito lanciando un’altra operazione.
Il “successo” si è ripetuto, in breve gli sbarchi si sono ridotti del 23%. Nello stesso tempo però, è raddoppiato il numero di migranti che decidono di affrontare le acque del Mediterraneo per raggiungere il sud dell’Italia dalle coste libiche.
A questo punto Frontex ha avviato l’operazione Nautilus che, come da copione, ha abbattuto il numero degli arrivi: se nel 2008 i migranti sbarcati a Lampedusa erano più di 35.000, il 2009 non fa quasi registrare nuovi arrivi (che poi riprenderanno dopo le “primavere arabe”).
In questa folle rincorsa i flussi migratori – e con essi, le operazioni dell’agenzia – si spostano verso est, fino a toccare la Grecia, obiettivo finale dell’operazione Poseidone. Nel 2010 Frontex ha annunciato la diminuzione del 60% delle operazioni effettuate nel Mar Egeo rispetto all’anno precedente. Nonostante questa paradossale messa in scena, i flussi migratori non si arrestano ed i migranti sono alla ricerca di nuove vie, questa volta sfidando le frontiere terrestri di Turchia, Grecia e Bulgaria.
La prova che le operazioni di Frontex non abbiano il merito di dissuadere i migranti dall’intraprendere il pericoloso viaggio verso l’Europa, arriva dal rapporto annuale sull’asilo e immigrazione della Commissione Europea: i dati rivelano un aumento di circa il 35% di pressione migratoria sulle frontiere UE.
Ma se alla fine lo scopo di tutte queste operazioni fosse proprio quello di mantenere una “pressione migratoria costante sulle frontiere” esterne dell’UE, in grado di giustificare i continui investimenti per lo sviluppo di nuovi dispositivi di sicurezza?
Questa è la tesi sostenuta da Claire Rodier nel suo libro Xénophobie business. Secondo l’autrice, un altro aspetto importante dell’agenzia è rimasto fino ad ora nell’ombra: il ruolo di mediazione che Frontex svolge tra i politici e gli esponenti dell’industria bellica, i veri beneficiari di questo nuovo sistema di sicurezza che rappresenta un mercato fruttuoso.
Dal 2011 Frontex ha la possibilità di acquisire o di prestare i propri equipaggiamenti (navi, elicotteri, etc.) o di acquistarli in comproprietà con gli Stati membri.
Sebbene non vi sia ancora traccia di acquisti ufficiali, fin dalla sua creazione Frontex ha partecipato a diversi forum dedicati alla messa in sicurezza delle frontiere, così come a numerose fiere in cui professionisti degli armamenti, dell’aeronautica e delle tecnologie avanzate presentano i propri prodotti.
A questo proposito Claire Rodier scrive: “attorno a questi tavoli, dove si tessono i legami tra i finanziatori e le imprese, Frontex occupa un posto strategico: sovvenzionata dai primi, è corteggiata dai secondi, i quali hanno tutto l’interesse a favorire il suo sviluppo e la sua autonomia”.
La giurista prevede che, seguendo la stessa logica di Frontex, Eurosur farà fruttare l’industria tecnologica. Appoggiandosi sulle nuove tecnologie sviluppate dai progetti di ricerca finanziati dall’UE, come le foto satellitari e i sensori, Eurosur può favorire lo sviluppo dei sistemi nazionali di sorveglianza delle frontiere, in vista della loro futura interconnessione.
Frontex e Eurosur costituiranno un vero trampolino di lancio anche nello sviluppo del mercato civile dei droni.
Con l’intento di dotarsi di questo strumento di sorveglianza aerea, Frontex ha organizzato – nell’autunno 2011 – alcune dimostrazioni di volo per permettere all’americana Lockheed Martin, alla spagnola Aereovision (associata con la francese Thales) e all’israeliana IAI (Israel Aerospace Industry) di testare sul campo l’efficacia dei propri sistemi.
Questa militarizzazione intensiva di Lampedusa non poteva esistere senza un processo di “legittimazione” che il ricercatore Paolo Cuttitta definisce “umanitarizzazione”: una strategia portata avanti attraverso i discorsi politici e l’eccessiva esposizione mediatica dell’emergenza migratoria. Alcuni giorni dopo la tragedia del 3 ottobre, si è verificato un altro terribile naufragio, alcune miglia più al largo della costa, che ha provocato la morte di 200 persone. Tuttavia nessun giornale ha riportato la notizia che, insieme ai cadaveri dei migranti, è stata inghiottita dalle onde del mare. In quell’occasione non c’erano corpi sulla spiaggia a scioccare l’opinione pubblica europea.
Nel 2008 è stato inaugurato il monumento la Porta d’Europa, eretto alla memoria dei migranti scomparsi. Riprendendo le parole di Paolo Cuttitta “una cosa è costruire una falsa porta, un’altra è aprirne una vera”. Anche questo gesto rientra nel processo di “umanitarizzazione”.
* Per leggere l’articolo in lingua originale clicca qui. La traduzione è a cura di Giulia Fagotto.
February 12, 2014di: Bénédicte Lutaud (testo e foto) per Slate.fr*Articoli Correlati:
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