di Angela Zurzolo
Scotland Yard apre un’inchiesta per indagare sulla presunta responsabilità dell’intelligence britannica nella rendition e nella tortura di due cittadini libici consegnati al colonnello Gheddafi – secondo l’accusa – da una squadra di agenti della Cia e del MI6, durante la ‘collaborazione’ dei due paesi nella ‘lotta al terrorismo’.
I documenti rinvenuti casualmente da un ricercatore di Human Rights Watch in un ufficio governativo libico, sembrerebbero costituire prova legittima, potenzialmente in grado di inchiodare gli agenti all’evidenza e di supportare le testimonianze dirette delle vittime.
Da parte loro i funzionari britannici, del resto, non hanno cercato di negare il coinvolgimento del MI6 in entrambe le rendition. Giustificando le operazioni come facenti parte di una “politica di governo autorizzata dai ministeri”, hanno invece delegato la responsabilità all’ex governo laburista.
Tony Blair, appunto, che dovrà ora rispondere (insieme anche alle accuse sulla guerra in Iraq) delle sospette violazioni compiute nei confronti dei libici Abdul Hakim Belhaj e Sami al Saadi dai suoi servizi segreti.
Nel 2004, Sami al Saadi sarebbe stato costretto, insieme alla moglie e ai quattro figli, a salire su un aereo per Tripoli ad Hong Kong, grazie ad una cooperazione tra il capo dei servizi segreti di Gheddafi, Moussa Koussa, e gli uomini dell’MI6.
In prigione, l’uomo sarebbe stato sottoposto ad anni di tortura.
Ancora più scabrosa la testimonianza di Belhaj, attuale comandante militare di Tripoli, arrestato a Bangkok insieme alla moglie incinta, dopo una ‘soffiata’ dell’MI6.
Prima di essere costretto a salire su un volo per la Libia, l’uomo sarebbe stato torturato da agenti americani per diversi giorni. A Tripoli, lo aspettavano ancora anni di tortura e interrogatori tenuti anche dai servizi segreti britannici. La moglie, soggetta a detenzione illegale per alcuni mesi, non ha rilasciato alcuna dichiarazione in merito al trattamento ricevuto.
Si trattava solo di ‘guerra al terrore’ o anche di supportare Gheddafi nella repressione all’opposizione?
Le incoerenze nella condotta del governo britannico nei confronti del colonnello sembrano ora essere irrimediabilmente venute a galla. E a denunciarlo è proprio Belhaj, secondo alcune fonti dirigente del gruppo islamico combattente e fermo oppositore del regime.
Se fosse vero, secondo ammissione degli stessi funzionari britannici, che si è trattato di una “politica di governo autorizzata dai ministeri”, è difficile pensare che i due casi messi sotto inchiesta possano risultare solamente come delle ‘eccezioni’ alla regola.
Scotland Yard e la Crown Prosecution Service hanno infatti annunciato di voler istituire una commissione congiunta per esaminare altre accuse di complicità nelle torture e nelle rendition dei detenuti arrestati durante la ”guerra al terrore” e destinati a Guantanamo.
Questa volta si potrebbe finalmente scavare nelle responsabilità, ben oltre le due precedenti inchieste aperte per indagare sui reati commessi dalle agenzie di intelligence britanniche.
L’inchiesta ‘Operazione Hinton’ aveva stabilito che l’ufficiale del MI5 che aveva interrogato il detenuto Binyam Mohamed era a conoscenza dei maltrattamenti che l’uomo aveva subito. L’indagine si era però conclusa con l’impossibilità di perseguire l’ufficiale, e il proposito di inserire il caso in una “più ampia indagine”, nel tentativo di rintracciare le effettive responsabilità nella catena di comando.
Scarsi anche i risultati dellla ‘Operazione Iden’, durante la quale si è indagato sui reati di “favoreggiamento nella tortura, complicità nei crimini di guerra, imprigionamento illegale, favoreggiamento e concorso d’assalto e condotta illegale negli uffici pubblici”.
Secondo l’accusa, nel 2002, all’aeroporto di Bagram a nord di Kabul, gli ufficiali dell’intelligence del MI5 e MI6 che dovevano interrogare i detenuti in una prigione statunitense, avevano ricevuto istruzioni scritte da Londra, secondo le quali “la legge non richiede che s’intervenga per evitare” i maltrattamenti dei quali sarebbero potuti essere testimoni.
I documenti rinvenuti nell’ufficio governativo libico, però, potrebbero rappresentare un valido elemento d’accusa, attualmente alla base anche delle cause civili che le famiglie di Saadi e Belhaj hanno deciso di avviare contro il governo britannico.
Secondo il Guardian, non è ancora chiaro quali ministri possano essere coinvolti nelle presunte operazioni di rendition segrete al regime di Gheddafi.
Tony Blair ha dichiarato di non essere mai stato a conoscenza dei documenti rinvenuti. L’ex ministro degli Esteri, Jack Straw, durante un’intervista alla radio, ha aggiunto di essere stato, come i suoi precedessori, “contrario alla consegna illegale, alla tortura e a metodi simili” e di non aver “mai chiuso un occhio di fronte ad essa”.
Poi, ha rilanciato l’accusa, deviandola sui servizi segreti: “Nessun ministro degli Esteri può conoscere tutti i dettagli di ciò che i servizi di intelligence stanno facendo in un dato momento”.
Forse si trattava di “dettagli” anche per Guantanamo, ma il fatto di averli rivelati al mondo con l’evidenza delle immagini, non è stato ugualmente sufficiente affinché il carcere cubano venisse chiuso, come promesso da Obama.
Intanto, l’ex capo del MI6, Sir Richard Dearlove, ha dichiarato: “E’ stata una decisione politica” volta alla “collaborazione contro il terrorismo islamista”. I rapporti con il colonnello Gheddafi sarebbero stati misurati in base ad un “calcolo serio”, per far stare “in piedi i nostri interessi nazionali”.
Quanto sia stato “serio” il calcolo, è però ancora da stabilire nel faccia a faccia con l’uomo prelevato dai servizi segreti britannici mentre si trovava ancora all’estero e consegnato ai torturatori libici, e che attualmente sarebbe – secondo l’organizzazione per i diritti umani Home Reprieve – comandante militare di Tripoli.
January 13, 2012
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