di Maria Letizia Perugini
Una vittima della convergenza di interessi tra il governo del Regno Unito e Muammar Gheddafi ha deciso di rivolgersi a un tribunale britannico per avere giustizia.
Si tratta di Sami al-Saadi, un dissidente libico detenuto nelle prigioni del suo paese, in seguito all’arresto organizzato in collaborazione con il governo britannico nell’ambito delle ‘renditions’, l’ondata di arresti e deportazioni internazionali attuate negli anni della lotta al terrorismo a dispetto di tutte le convenzioni internazionali di rispetto del diritti umani.
L’azione legale di Saadi si basa su documenti segreti ritrovati a Tripoli che dimostrerebbero il coinvolgimento dell’M16, i servizi segreti britannici, nella gestione del suo arresto. I legali di Saadi dello studio Leigh Day & Co sono gli stessi di Binyam Mohamed, altra vittima del sistema delle renditions finito a Guantanamo, e hanno chiamato in causa molti componenti del governo laburista e dei servizi segreti.
La storia di Saadi risale al 2004 e si intreccia a vicende di politica e economia internazionali. Saadi, conosciuto anche come Abu Munthir, è stato un esponente del Gruppo combattente islamico libico (Lifg), organizzazione di opposizione al governo di Gheddafi, fondata dai veterani libici che avevano combattuto in Afghanistan nella guerra contro l’Unione Sovietica.
Dagli anni ’90 si era trasferito nel Regno Unito, dove aveva chiesto asilo. Si possono ricostruire i fatti sui documenti trovati nell’ufficio di Moussa Koussa, vecchio capo dell’intelligence gheddafiana: si parte da un fax della Cia, inviato nel marzo 2004 a Koussa nel quale l’agenzia si dice ansiosa di partecipare all’operazione di rendition dopo aver saputo che l’M16 e il governo di Gheddafi la stavano per attuare.
Da questo fax si può capire che l’operazione, più che un’azione di vero e proprio anti-terrorismo, fosse una sorta di regalo a Gheddafi: nei progetti infatti non si parla solo della cattura di Saadi, ma di tutta la sua famiglia, con i figli e le figlie con età comprese tra i 6 e i 14 anni, difficilmente sospettabili di terrorismo internazionale.
Due giorni dopo l’invio del fax, Blair si reca a Tripoli, dove presenta la collaborazione con il governo libico nella causa comune contro il terrorismo. Poco dopo i libici annunciano la firma di un sostanzioso contratto per la vendita di gas al colosso anglo-tedesco della Shell. Tre giorni più tardi infine l’intelligence libica mette Saadi su un aereo a Hong Kong insieme a sua moglie e ai suoi quattro figli e li trasporta in una prigione libica.
La famiglia viene rilasciata dopo due mesi di “torture psicologiche”. Saadi resterà in carcere per sei anni, costantemente sottoposto a torture fisiche e a minacce di morte.
Secondo la testimonianza dello stesso Saadi le domande degli interrogatori avrebbero riguardato i libici che vivevano in Inghilterra: gli sarebbero state mostrate delle loro foto e in un’occasione sarebbe anche stato interrogato da esponenti dei servizi segreti britannici.
A supporto della versione fornita da Saadi esistono molti rapporti sulle condizioni di detenzioni nelle carceri libiche ma anche altri documenti segreti che parlerebbero dell’arresto dell’”estremista islamico in Cina”, cinque mesi prima che avvenisse. Si tratta di un altro fax inviato da un agente dell’M16, nel novembre 2003, all’intelligence di Gheddafi in cui riferisce i rapporti in corso con i cinesi per risolvere la questione dell’estremista islamico.
È una storia esemplare di un meccanismo ben oliato dei servizi segreti che il governo inglese avrebbe tollerato, se non favorito.
Molte delle prove a sostegno di queste accuse sono state rinvenute da Human Rights Watch negli uffici libici, dopo il passaggio della rivolta. Si sa, quando c’è una guerra in corso è difficile tenere tutte le variabili sotto controllo e una di queste ha permesso che alcuni documenti classificati venissero alla luce. Così le conversazioni scritte tra esponenti delle intelligence dei tre paesi, Gb, Usa e Libia, dimostrano senza ombra di dubbio le accuse che in questi anni sono state mosse alle strategie di lotta al terrorismo: torture e arresti arbitrari.
Blair ha dichiarato di non essere a conoscenza della vicenda, ma la cosa appare alquanto improbabile. Saadi non è stato l’unico libico ad essere stato detenuto nelle carceri di Gheddafi in seguito a un’azione dell’M16. Esiste anche il caso di Abdul Hakim Belhaj, altro componente del Lifg, con un destino di tortura simile a quello di Saadi, ma con un esito diverso: liberato lo scorso anno è diventato uno dei capi dei rivoltosi che hanno preso Tripoli in agosto.
Si tratta di un altro momento imbarazzante per il partito laburista, dopo l’altra vicenda che nei mesi scorsi che ha fatto emergere gli altri contatti intrattenuti tra Blair e Gheddafi per la restituzione alla Libia di Abdelbaset al-Megrahi, l’attentatore di Lockerbie.
Un altro dei regali britannici a Gheddafi, l’amico di sempre, caduto in disgrazia.
October 7, 2011
Libia,Articoli Correlati:
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