Turchia, questione curda e la “doppia coscienza dell’Europa”

Interessi economici, militari e finanziari tra Turchia e Unione Europea rallentano il processo per una risoluzione pacifica della questione curda. Si può parlare di una “doppia coscienza” dell’Ue? I diritti di 40 milioni di persone aspettano una risposta. Ecco l’appello lanciato ieri alla Camera dei deputati.

di Angela Zurzolo

Sono 40 milioni i curdi che vivono tra l’Anatolia e la Mesopotamia, all’interno dei confini di Turchia, Iran, Iraq e Siria, la metà dei quali vive sotto la giurisdizione del governo di Ankara.

“Nonostante il grande successo ottenuto dagli esponenti del movimento curdo alle elezioni del Parlamento turco del giugno scorso, permangono lo stato di detenzione e i processi nei confronti di centinaia di esponenti politici e amministratori locali curdi, nonché una sistematica negazione delle istanze di riconoscimento dei diritti culturali e linguistici del popolo curdo”.

Per questo l’appello per la “Pace e i diritti nella regione Kurda”, presentato ieri in una conferenza stampa alla Camera, si rivolge all’Unione Europea e all’Italia affinchè i diritti del popolo curdo non vengano cancellati dall’agenda politica internazionale.

Le massicce operazioni militari messe in atto dall’esercito turco al confine con l’Iraq, l’attacco dell’Iran nella regione orientale del Kurdistan, si sommano alla catastrofe naturale che ha colpito la città di Van. L’emergenza è assoluta.

“Inviamo questo appello da amici della Turchia. L’appello è molto aperto nei confronti dello sviluppo democratico del paese, ma non può chiudere gli occhi di fronte a nessuna delle parti in gioco. Senza una soluzione della questione curda, che può realizzarsi solo se nessuno viene lasciato fuori dalle trattative e dal dialogo, non avremo mai pace ai confini dell’Europa”, ha detto Arturo Salerni, presidente dell’Associazione Levante.

Luisa Morgantini, ex vicepresidente del Parlamento europeo, denuncia una “intensificazione negli ultimi anni non solo della violazione dei diritti umani in Turchia, ma anche della violazione di qualsiasi diritto. La Turchia sta retrocedendo rispetto a passi che aveva fatto in precedenza”.

E se da una parte la Morgantini riconosce a Erdogan notevole “coraggio durante l’operazione Piombo Fuso”, dall’altra, parla di una “lingua biforcuta” della Turchia, che ancora reprime il popolo curdo.

L’Unione Europea, dice, risulta “ineccepibile nelle sue dichiarazioni”, ma il problema risiede nella loro applicazione reale e continuativa.

“Al Parlamento europeo dovevamo fare una lotta per inserire la parola curdo, che non esisteva nei documenti”, ricorda la Morgantini e parla di una “doppia coscienza dell’Europa”.

Secondo molti, un governo tecnico, quale quello che attualmente guida l’Italia, si può presentare come un valido rappresentante delle istanze relative al riconoscimento del popolo curdo, perché sembra avere la possibilità di superare quegli schieramenti politici consolidatisi su posizioni aspramente irremovibili.

“Al Senato c’è ancora molto da lavorare e non nascondo che ci siano state delle resistenze anche da parte della Commissione dei diritti umani”, racconta l’onorevole del Pd, Jean Léonard Touadì.

Quanto tempo serve perché la diplomazia europea possa esercitare una pressione efficace per la risoluzione del problema curdo?

“Con il contenzioso con Israele, con quello sulla presidenza cipriota dell’Unione Europea, la questione degli armeni e il vuoto che si è creato in quell’area, e la Turchia che spera di ereditare il ruolo dell’Egitto e si mostra più attiva non solo nell’Africa del Nord, ma anche in quella Sub- sahariana”, il profilo geopolitico di Ankara sta cambiando.

Toudì spiega che quella europea “è una prospettiva che sta diventando secondaria per la Turchia” e avverte: “Rischiamo di perdere gli agganci multilaterali. Bisogna insistere. Dobbiamo allargare la mobilitazione. Ciò che avviene per i curdi è ciò che sta accadendo alla questione sahrawi. Non se ne parla perché i rapporti con il Marocco sono diventati troppo importanti e permangono condizionamenti”.

Come precisa Forlani: “Dopo le vicende tumultuose della Primavera araba, la Turchia è percepita in modo crescente come modello di una democrazia sperimentata in una società islamica e mediorientale. Nonostante ciò, c’è una totale noncuranza e incapacità di fare emergere le violazioni del governo che sono in pieno contrasto con il ruolo egemone e l’immagine che vuole darsi”.

Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa, ribadisce: “Quello turco è un governo che manifesta forte vocazione europea e fa spesso riferimento agli standard europei. Noi pensiamo che questi non debbano valere solo per quanto riguarda questioni economiche o finanziarie. L’Europa, che rischia di essere considerata soggetto grigio vuoto e burocratico, deve trovare un’identità forte nel rispetto dei diritti e deve sapere imporre i suoi standard”.

Poi, denuncia: “Nell’elenco dei cento giornalisti in prigione in Turchia, la metà risulta essere curda”. E ricorda: “C’è stata una pesantissima operazione di polizia alla vigilia di Natale a carico degli operatori dell’informazione. Adesso vengono applicate senza nessuna reticenza le leggi antiterrorismo nei loro confronti e vengono accusati di attività sovversiva”.

Il contributo per la risoluzione della questione curda, inoltre, deve provenire anche e soprattutto da una mobilitazione dei media risoluta, che contribuisca a formare l’opinione pubblica europea su una questione che la riguarda da molto vicino.

L’appello ai giornalisti perciò si accompagna alla richiesta della campagna ‘Newroz 2012’ di partecipare alla delegazione di osservatori che si recherà nelle diverse aree del Kurdistan, da Amed a Dersim, in occasione del “Nuovo giorno”, la festa simbolica della liberazione del popolo curdo.

Clicca qui per vedere il video della conferenza stampa alla Camera dei deputati di Roma.

February 3, 2012

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