Palestina, votazione all’Onu: le riserve di Hamas

di Marco Di Donato (CISIP)

Contrari sempre e comunque verrebbe da dire. Ad un giorno esatto dalla votazione Onu il movimento di resistenza islamico palestinese Hamas ha espresso le proprie profonde e significative riserve sulla votazione per il riconoscimento dello Stato palestinese all’Onu.

Hamas ha definito la proposta di Abu Mazen come “vuota e priva di un reale peso politico”. Dalla Striscia di Gaza inoltre molti esponenti del movimento islamista hanno espresso un parere contrario ad un’azione unilaterale che potrebbe essere gravida di conseguenze negative. In primo luogo

Hamas teme una ripresa delle violenze su larga scala all’interno della Striscia di Gaza e della West Bank. La posizione del movimento islamista appare in questo preciso momento storico di estrema debolezza. Un eventuale scontro con Israele sarebbe molto difficile, quasi impossibile, da gestire senza il rischio di uscirne gravemente danneggiati. Hamas si troverebbe a gestire da un lato le varie compagini estremiste di matrice qaedista all’interno della Striscia ed ovviamente si troverebbe sottoposta al confronto con l’esercito di Tel Aviv. L’operazione Cast Lead è un ricordo ancora troppo vivo.

Ed ovviamente bisogna considerare quanto il rischio di una terza Intifada a seguito del probabile rifiuto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu nei confronti delle istanze palestinesi resta molto alto. Una Intifada molto simile a quella del 1987 dove potrebbe essere la gente, la popolazione, la società civile a riconquistare un ruolo dal protagonista in uno scenario dove la politica ha ormai fallito.

Secondariamente vi è una motivazione tutta politica per la quale Hamas osteggia la manovra di Abu Mazen. Una vittoria, seppur parziale e di facciata, della delegazione palestinese all’Onu porterebbe nuovi consensi all’ormai logora figura di Abu Mazen e più in generale a tutto il partito di Fatah. Un’eventualità che Hamas intende scongiurare considerate le attuali condizioni storiche che sembrerebbero favorire le compagini islamiste (vedi Egitto e Tunisia ed il crescente ruolo dei Fratelli Musulmani dopo la caduta di Mubarak e Ben Ali).

In terzo luogo non bisogna dimenticare che quello palestinese appare come un atto unilaterale. Un’azione posta in essere senza aver consultato le diplomazie occidentali. Se questo da un lato appare come positiva espressione di un’indipendenza di azione e pensiero da parte della leadership politica di Ramallah, potrebbe d’altro canto essere, involontariamente, un punto a favore di Israele. Ad azione unilaterale palestinese potrebbe corrispondere una riposta unilaterale da parte israeliana. Una risposta che presumibilmente sarebbe di chiusura. O peggio.

Un’azione unilaterale che va anche contro l’accordo di riconciliazione nazionale siglato al Cairo la scorsa primavera. Agendo in maniera individualista, Abu Mazen ha nuovamente dimostrato quale sia il peso che conferisce ai pareri degli altri partiti politici palestinesi. Non solo. Secondo Ismail Hanyeh in tal modo si svenderanno i diritti dei palestinesi, specialmente quelli dei profughi il cui ritorno in patria diverrebbe ancor pi&` difficile. L’estrema vaghezza della proposta, il probabile esito negativo delle votazioni, le troppe incognite sul piano regionale dal punto di vista geopolitico sono tutte condizioni che rendono, secondo Hamas, quanto meno azzardata ed avventuristica l’idea di un voto all’Onu.

In sostanza Hamas cerca di cavalcare l’ondata di scetticismo che accompagna la votazione di domani. Hamas spera che Abu Mazen fallisca per poter recitare il famoso adagio del “vi avevamo avvertito” vantando una lungimiranza politica che finora a solo parzialmente dimostrato agli occhi della popolazione palestinese. Colpevolmente tuttavia, il movimento di resistenza islamico non gioca la carta, sebbene logora e consunta, del processo di pace. Hamas perde l’occasione di presentarsi come partner credibile per la pace agli occhi di quelle diplomazie occidentali che guardano con crescente preoccupazione al voto di domani. Sarebbe stata un’occasione per provare ad uscire dall’isolamento internazionale e dare una svolta per il proprio riconoscimento. Forse la lungimiranza politica, a Ramallah come a Gaza, è ancora ben lungi dal divenire.

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