di Marco Di Donato (CISIP)
Poco meno della metà dei detenuti (450) sarà liberata subito e, secondo Khaled Meshaal, addirittura in settimana.
Altri 550 reclusi saranno rilasciati in data da definirsi, forse tra due mesi. Nella lista dei prigionieri mancano però due nomi eccellenti: Marwan Barghouti e Ahmed Saadat, e non ci sono nemmeno personaggi di spicco appartenenti ad Hamas come Abdullah Barghouti, Ibrahim Hamed ed Abbas Sayed.
Yoram Cohen, capo dello Shin Bet (l’apparato di sicurezza interna di Israele), ha sottolineato come non tutti i detenuti rilasciati faranno ritorno nei Territori Palestinesi Occupati.
Nello specifico, 203 andranno in esilio in Paesi ancora da definire, mentre 110 torneranno nella West Bank, 131 nella Striscia di Gaza e 6 arabo-israeliani in Israele. Fra di loro ci sono anche 27 donne, fra le quali Ahlam Tamimi e Amna Muna che però andranno in esilio all’estero. Tutti gli altri potranno invece tornare nelle proprie case, dalle proprie famiglie. Ed in Israele è già polemica.
In effetti pochi, pochissimi, si attendevano che il falco Netanyahu si scomodasse a tal punto: firmare un accordo con Hamas. Il rappresentante del movimento islamico recatosi al Cairo, tale Nizar Awadalah, forse all’inizio deve aver pensato ad uno scherzo. Un governo di destra, guidato dai falchi del Likud, che stringe uno svantaggioso accordo (il rapporto è appunto mille a uno) con quella che da sempre in patria è considerata un’organizzazione terroristica.
Del resto ieri mattina, quando il consiglio dei ministri ha votato il testo dell’accordo, i malumori interni alla maggioranza non sono mancati. Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il collega delle Infrastrutture Uzi Landau, appartenente al partito Yisrael Beiteinu, ed il vice di Netanyahu, Moshe Ya’alon, hanno votato contro. I tre avrebbero preferito un’incursione armata, un blitz come tanti ne ha fatti l’esercito israeliano, ma Netanyahu ha preferito diversamente.
A detta dello Shin Bet la linea morbida sarebbe stata decisa anche in seguito ad una maggiore apertura dimostrata da Hamas nell’ultimo periodo. Il movimento di resistenza islamico è in chiara difficoltà e la liberazione di mille prigionieri (appartenenti peraltro a diverse sigle politiche) gioverà non poco alla sua immagine sul fronte interno.
Da Damasco Khaled Meshaal parla di un risultato raggiunto su scala “nazionale”, che coinvolge tutti i palestinesi e non solo Hamas. E del resto le timide congratulazioni di Abu Mazen sono la prima dimostrazione di quanto questo accordo favorisca Hamas a detrimento di Fatah e delle altre forze politiche palestinesi.
I termini della trattativa resi noti oggi sono in realtà gli stessi da molti anni. Il numero di prigionieri, lo scambio da effettuare in due momenti distinti, l’assenza di Marwan Barghouti e di altri leader di spessore.
Tutte clausole note da tempo e che attendevano solo di essere implementate dalle volontà politica dei soggetti in campo. Due soggetti che oggi scendono a patti perché deboli come mai nella loro storia recente.
Cosa più importante però è questo scambio non ha alcun tipo di controindicazione per Hamas, mentre invece risulta in parte indigesto ad alcuni settori della società israeliana e rischia di mettere comunque in difficoltà il governo Netanyahu.
Nonostante la decisione di agire senza operazioni militari sia stata presa con modalità congiunte da Tamir Pardo (capo del Mossad), dal Comandante in capo dell’esercito israeliano Benny Gantz e dal già citato Yoram Cohen, una parte dell’opinione pubblica israeliana sembra non essere disposta a pagare un “alto prezzo”, così come lo ha definito Noam Shalit (il padre di Gilad), necessario per la liberazione del caporale franco-israeliano.
La leader di opposizione Tzipi Livni si è congratulata per l’azione governativa, ma ha messo in guardia da una possibile ripresa del terrorismo in seguito alla liberazione di “pericolosi terroristi”.
Su ambo i fronti si aspetta il ritorno a casa di qualcuno. Shalit tornerà in Israele ed i prigionieri palestinesi nelle loro case o poco distanti.
Nei prossimi giorni vedremo abbracci e lacrime, questa volta di gioia però, ai due lati del muro. Per la prima volta nella storia recente dopo l’Intifada al-Aqsa, gli attentanti suicidi, le esecuzione egli assassini mirati, Hamas ed Israele dialogano in modo ufficiale dimostrando come in fondo la vera sfida sia parlare e giungere ad un’intesa, seppur parziale e certamente limitata, con i propri nemici.
October 12, 2011
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