di Francesca Manfroni
A pochi giorni dall’appuntamento all’Onu, il presidente degli Stati Uniti cerca di neutralizzare la sfida lanciata da Abu Mazen ed impedire una dichiarazione favorevole al riconoscimento dello Stato Palestinese. Il veto solitario di Washington potrebbe compromettere per sempre i piani di Obama in Medio Oriente.
Il presidente Barack Obama si trasferirà a New York per seguire personalmente la questione palestinese alle Nazioni Unite, ma già ieri ha congelato la sua posizione affermando che “se la proposta giungerà in Consiglio di sicurezza, l’America si opporrà fermamente, perché avrebbe un effetto controproducente”. Nonostante l’apparente fermezza del presidente, alla Casa Bianca si tenta disperatamente di evitare l’arma del veto, in modo da scongiurare una crepa importante nelle relazioni tra Stati Uniti e palestinesi, che potrebbe vanificare tutti gli sforzi compiuti dall’amministrazione Obama verso il mondo arabo. Il presidente ha appoggiato la primavera araba, lasciando cadere un alleato fedele come Hosni Mubarak, ha lanciato le operazioni militari in Libia e ha chiesto pubblicamente le dimissioni del presidente siriano Bashar Al Assad. Tutto questo potrebbe ora essere compromesso dal veto americano sul riconoscimento dello Stato palestinese. Sta di fatto però che Abu Mazen ha scelto la sfida frontale, decidendo di passare per il Consiglio di sicurezza, dove punta ad ottenere lo status di membro dell’Onu con tutti i diritti, anziché “accontentarsi” di una vittoria garantita all’Assemblea generale (130 Stati su 193 hanno già riconosciuto lo Stato palestinese), che però gli conferirebbe lo status di “entità osservatrice”, al pari del Vaticano. L’amministrazione Obama spera quindi di convincere i palestinesi a rinunciare a questa opzione, in favore di un passaggio in Assemblea generale, che comunque permetterebbe ai palestinesi di ricorrere alla Corte penale internazionale dell’Aja e trasformare in “occupanti” gli israeliani che vivono al di fuori dei confini stabiliti nel 1967, oltre ad avere giustizia per le continue violazioni dei diritti umani. Potrebbe finire proprio così. Secondo fonti diplomatiche, la mossa di Abu Mazen va infatti interpretata come una scelta tattica: “Più è alta la posta in gioco, maggiore sarà il prezzo da pagare in cambio di un accordo”. Sul fronte europeo, Israele può contare sull’appoggio di Germania, Polonia e Italia, l’astensione di Francia e Gran Bretagna e il voto favorevole della Spagna. Tra i più “piccoli”, Olanda e Repubblica Ceca sembrano allineate con Tel Aviv, mentre Svezia, Irlanda, Belgio e Portogallo simpatizzano con la causa palestinese. Un appuntamento importante che vede il Vecchio Continente ancora una volta diviso, incapace di lanciare un’iniziativa comune.
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