Afghanistan. La società civile italiana incontra Maria Bashir

Che il procuratore generale di Herat, Maria Bashir, non sia una donna come tutte le altre lo si capisce dalla forza e dal carisma che emana non appena entra nella stanza. I begli occhi scuri e penetranti scrutano con curiosità e interesse la piccola delegazione della società civile italiana giunta ad accoglierla martedì pomeriggio alla Farnesina: Arci, Afgana, Pangea, Intersos, Un ponte per…, Tavola della pace, Aidos, Ong italiane, Lettera 22, Cgil.

 

 

 

di Anna Toro

 

Oltre a una reciproca conoscenza, entrambe le parti hanno puntato anche sul rafforzamento della rete tra le due società civili, per una proficua collaborazione nell’interesse dell’Afghanistan e nella costruzione di un futuro di pace nel paese.

“La società civile italiana può avere un ruolo molto importante per noi – afferma Maria Bashir – quello che a noi manca non sono le risorse, ma un modo intelligente e coordinato di utilizzarle”.

Quarantun’anni, procuratore generale di Herat da cinque, Maria Bashir è la prima donna a ricoprire quel ruolo in Afghanistan.

Nonostante il suo carattere forte e battagliero, ha pagato un prezzo alto: una vita blindata e sotto scorta, i figli costretti a vivere in una residenza segreta, è scampata anche a diversi attentati.

D’altronde la sua è una lotta su tre fronti: contro la corruzione, contro la violenza sulle donne, contro la droga e il terrorismo.

“La corruzione è uno dei più grandi problemi del mio paese”, spiega. 

“Non solo non c’è un governo forte, ma è il governo stesso ad essere corrotto. Anche il sistema dei fondi va monitorato, basti pensare che in alcuni casi di cui mi occupo ad essere imputate sono alcune ong internazionali”.

Insieme alla corruzione l’altro forte problema è quello dell’applicazione della legge. “Bisogna rafforzare il sistema giudiziario afghano che è ancora troppo debole” afferma.

Ed è proprio in questo settore che è cominciata tempo fa una collaborazione con il governo italiano, i cui frutti però tardano ancora ad arrivare.

In Afghanistan, infatti, c’è un forte divario tra le città e le zone rurali dove spesso la legge e la Costituzione non arrivano, e i casi sono gestiti dai tribunali dei mullah. “I quali – afferma il procuratore – a volte prendono decisioni corrette, ma molte altre no, soprattutto per quanto riguarda le donne”.

L’articolo 22 della Costituzione afghana, che sancisce l’uguaglianza tra uomo e donna di fronte alla legge, non è ancora applicato in larga parte del paese.

In ogni caso Maria Bashir cerca di fare il suo lavoro con fredda neutralità, disponendo, se la legge lo prevede, uomo o talebano che sia, anche la pena di morte.

E non sono pochi gli uomini che spesso considerano un affronto solo il fatto di essere giudicato da una donna.

A questo proposito, i negoziati che il governo sta portando avanti con i talebani per un loro ipotetico ingresso nel Parlamento in cambio della pace la preoccupano non poco.

“Già l’anno scorso temevo che questo dialogo, questo negoziato non fosse chiaro. Mi chiedo: sono i talebani che devono rispettare la Costituzione afghana oppure è il contrario, cioè il governo sarà costretto a far loro delle concessioni, anche a livello costituzionale? Il problema è che se il governo non è forte, e non lo è, non avrà nessun potere sui negoziati”.

Non è infatti un segreto che le trattative sono portate avanti quasi unilateralmente dagli Stati Uniti, altro errore che probabilmente non sarà senza ripercussioni.

Un’altra paura, condivisa anche dalla delegazione della società civile italiana presente all’incontro, è che dopo il 2014 la comunità internazionale se ne possa andare senza mantenere i numerosi impegni presi.

“Le conseguenze possono essere molto pericolose – commenta Bashir – l’abbiamo visto ad esempio in Iraq”.

Anche per questo considera essenziale lo sviluppo della società civile afghana e concorda con la richiesta fatta dalle associazioni italiane di tagliare le spese militari e aumentare al contrario quelle destinate ai progetti di sviluppo e alla ricostruzione.

“Voi italiani – aggiunge – soprattutto il sindacato, potete aiutarci per quanto riguarda il lavoro, altro punto dolente. In Afghanistan i salari sono troppo bassi, la disoccupazione è altissima, e la violenza sulle donne è legata anche a questo, cioè al fatto che la maggior parte di loro non è autonoma economicamente e dipende dai mariti e dagli uomini della famiglia. Per tutto questo abbiamo bisogno di idee, strategie e risorse”.

Dal canto suo la società civile italiana chiede un impegno preciso anche al governo italiano, che pure ha dato la sua disponibilità e si prepara alla conferenza di Tokyo prevista a luglio 2012.

“Per noi è importante che il governo voglia supportare la rete della società civile, ma vorremmo un coinvolgimento più attivo e concreto, nonostante le difficoltà della transizione” chiede tra gli altri Enzo Mangini di Lettera22.

“Se da Tokyo usciranno solo dichiarazioni di principio non lo so. – afferma infine Maria Bashir –., da parte mia credo nel futuro dell’Afghanistan, credo che un giorno la situazione si stabilizzerà.

“Ma è necessaria una strategia di unità e di coordinamento tra governo afghano e comunità internazionale. Strategia che io, sinceramente, ancora non ho visto”.

 

 

June 14, 2012

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