Un testo introduttivo per avvicinare anche i più inesperti allo studio del mondo arabo e islamico attraverso la storia del Vicino Oriente: dalla nascita del profeta Muhammad sino ai giorni nostri. Una introduzione alla storia dei popoli arabi che utilizza il passato come chiave di lettura per il presente. Abbiamo chiesto all’autore, Marco Demichelis, di raccontarci il suo punto di vista sulle recenti evoluzioni del mondo arabo partendo dall’analisi che propone nel suo libro, Storia dei Popoli Arabi, dei tipi di Ananke Edizioni (2013). 

 

 

 

Quali sono gli elementi della storia del mondo arabo che ritroviamo nelle transizioni attuali? 

Bisogna prima di tutto sottolineare che, nel corso della lunghissima storia del mondo arabo ed islamico, i cambiamenti non sono soltanto stati effettuati manu militari. L’influenza della storia passata sugli eventi ultimi va inserita in un contesto più ampio, in quel contesto che ad esempio interessa il pensiero islamico.

Pensiamo ad esempio alla dicotomia di fine Ottocento, laddove la religiosità islamica da un lato si apre verso le diversità, verso il “diverso”, ma dall’altro si chiude adottando un atteggiamento maggiormente conservatore che considera tale apertura come un pericolo, come un qualcosa di non necessario. 

 

Nonostante gli studiosi si siano affannati a decretare la fine dell’Islam politico, ad oggi siamo ancora qui a parlarne.

Sì, sicuramente. Va tuttavia sottolineata una mia personale difficoltà nell’utilizzare categorie legate all’esperienza occidentale e traslarle così, ex abrupto, in altri contesti. Si dovrebbe infatti aprire un dibattito sui concetti di “laicità” e “secolarizzazione” nonché del loro significato per le popolazioni arabe. Se noi partiamo dal presupposto che la secolarizzazione del mondo arabo negli ultimi 150 anni è in gran parte dovuta all’avvento di un’idea nazionale e nazionalista di chiara derivazione europea, non possiamo che rilevare un percorso diverso rispetto a quello osservato nel vecchio continente.

Storicamente parlando il mondo arabo ha assorbito, in un certo senso, il significato peggiore e più violento del processo di secolarizzazione, ossia quello della violenza nazionalista. Questo senza contare inoltre come tale processo si è esplicato attraverso politiche di stampo coloniale giungendo quasi ad identificare i due elementi. 

 

Secondo questa riflessione diviene ancora più sorprendente notare come l’Islam politico abbia poi interiorizzato il concetto di ‘nazione’.

Personalmente credo si debbano considerare due fasi. Una prima idea pan-islamica, utopica, legata a personaggi come al-Afghani dove forse non si considera l’immenso background storico di frammentazione del mondo arabo ed islamico. Ed è proprio quest’idea iniziale che verrà poi dequalificata dal panarabismo di stampo nasserista, distrutta poi dal 1967.

E’ la Guerra dei sei giorni che annichilisce il panarabismo ed anche il pan-islamismo e che porta l’Islam politico a discutere per “Stati”, a pensare in prima battuta al proprio contesto nazionale. Questo, fatta eccezione per il jihad afghano o quando in generale emerge un conflitto che interessa la Dar al-Islam in senso più ampio, pensiamo per esempio anche al jihad bosniaco degli anni ’90.

 

Tuttavia non trovi paradossale che si sia generalmente deciso di combattere (tanto a livello statale quanto di singoli movimenti) per confini imposti dal colonialismo?

Si tratta, purtroppo, di una forma di retaggio. Noi continuiamo ad avere anche in Africa dei confini creati ad hoc in seguito al Congresso di Berlino (1884-1885) in cui le potenze europee hanno delineato i loro confini inglobando diversità etniche straordinarie. In buona sostanza abbiamo dei confini artificiali che sono poi divenuti parte integrante di un discorso nazionalista: piuttosto che avere nulla e rischiare di non essere riconosciuti li si è approvati così come erano.

In tal modo l’accettazione dell’influenza occidentale ha creato non poche problematiche. Facciamo l’esempio curdo. Alla fine del primo conflitto mondiale le varie conferenze di pace sino a Sanremo e Sevres, s’incardinano nei 14 punti di Wilson, e affrontano la concreta possibilità di creare un Kurdistan. Poi a Losanna le carte sul tavolo cambiano improvvisamente e questa presunta entità scompare, creando quelli che sono gli odierni problemi dei curdi in Turchia, Iraq ed in molti altri scenari. 

 

A questo punto, riprendendo una tua espressione presente nel primo capitolo, ha ancora senso parlare di una “matria” islamica?

La Umma ha un significato religioso e la (ri)scopriamo in ogni ricorrenza islamica. Dal Marocco, all’Indonesia, passando per il Senegal, le prescrizioni islamiche sono rispettate da tutti i credenti e contribuiscono a formare una straordinaria comunità musulmana. In questo senso mi piace sempre ricordare come l’Islam non sia una religione rinchiusa nel bacino Mediterraneo o in Arabia Saudita, ma che esistono molte altre diverse forme di Islam, come ad esempio in Indonesia, primo paese per numero di fedeli musulmani.

Troppo spesso lo si dimentica concentrandosi solo su alcuni scenari.

 

Cosa intendi dire?

Penso ad esempio al conflitto fra sunniti e sciiti e a tutti quegli interessi internazionali in gioco perché questo conflitto perduri nel tempo. E’ un problema iranico-arabo e pakistano, ma non lo riscontriamo in altre aree geografiche dove sono assenti quegli interessi economici e politici che mirano a scatenare questa conflittualità. 

 

Fai riferimento alla Siria?

Ovviamente. Tuttavia non dobbiamo dimenticarci – anche solo se guardiamo all’epoca contemporanea – del 1979 e della guerra fra Iraq ed Iran, dell’influenza della wilayat al-faqih o anche del ruolo del wahabismo in Arabia Saudita. La guerra civile siriana è il risultato di un lungo percorso storico.

Non dobbiamo neanche dimenticare uno scenario come l’Iraq dove, ancora oggi, i morti dall’inizio dell’anno sono oltre 130 mila. Forse solo l’accordo sul nucleare potrà spingere l’Iran a cercare una nuova soluzione per tutti questi scenari dalla complicatissima risoluzione. Del resto, forse, solo Teheran è davvero in grado di imprimere una svolta decisiva di portata storica poiché, ancora una volta, è la storia a raccontarci del ruolo imprescindibile dell’Iran negli equilibri del Vicino e Medio Oriente. 

 

Secondo te 2010, 2011 e 2012 saranno menzionati nei prossimi libri di storia come momenti paragonabili al 1948, 1967 o anche 1979?

Bisogna fare una distinzione. A differenza dell’Occidente il mondo arabo e islamico non ha vissuto “un secolo breve” come per noi occidentali è stato il ‘900. Il ‘900 ha visto la fine dell’Impero ottomano, l’inizio di una nuova fase che si sta vivendo ancora in pieno. Non sappiamo ancora quale strada verrà percorsa, in quale direzione si svilupperanno gli eventi.

Pensiamo ad esempio alla Tunisia, scenario incerto come del resto lo è ancora l’Egitto. Forse a Tunisi potremmo avere la possibilità di osservare un processo di transizione completo, ma per quanto riguarda Libia, Siria ed Egitto l’incertezza regna sovrana. In alcuni casi mi sembra ci sia addirittura un ritorno al passato con potenze oscure che mettono in atto processi contro-rivoluzionari: stringono la mano ad al-Sisi, mandano carri armati a Manama (Bahrain), finanziano terroristi in Siria. In molti casi purtroppo se c’è un cambiamento, non si vede.  

 

 

 

 

December 17, 2013di: Marco Di DonatoAfghanistan,Arabia SauditaBahrain,Egitto,Emirati Arabi UnitiGiordania,Iran,Iraq,Kuwait,Libano,Libia,Marocco,Oman,Palestina,Qatar,Siria,Tunisia,

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